Abstract
L’AF è un metodo di autorigenerazione psico-corporeo che ha origine dagli studi di W. Davis e da cinquant’anni di esperienza clinica. Rispetto ad altre terapie corporee, l’approccio FA include il tessuto connettivo nel trattamento del corpo. Questo metodo, utilizzando sia il tocco corporeo che verbale, facilita il processo di instroke che di per sé è profondamente rigenerante. Durante il processo di instroke la persona entra progressivamente in contatto con il proprio nucleo bio-psicologico (Endo Self-Instroke State) che, essendo integro, facilita il drenaggio della corazza costituita da pensieri, emozioni, comportamenti ripetitivi e come tali nevrotici. Questo metodo quindi, utilizzando tecniche verbali e corporee in grado di mobilitare il processo di instroke, agisce al di sotto delle difese del carattere e delle sue manifestazioni come pensieri disfunzionali, emozioni e comportamenti ricorrenti. Dato il principio di identità funzionale tra mente e corpo, il tatto e il verbale hanno la stessa funzione, caratteristiche e scopo: mirano a non attivare le difese caratteriali e a raggiungere progressivamente quel nucleo bio-psicologico integro e sano. Esaminerò la qualità del tocco e del lavoro verbale incorporando nel processo di instroke alcune tecniche indicate da Will Davis.
Parole chiave: Tessuto connettivo– instroke– approccio funzionale– processo verbale pulsatorio
L’AF è un metodo di autorigenerazione, un processo psico-corporeo che trae origine dagli studi di Davis sull’energia vitale e da cinquant’anni di esperienza clinica. (i) Si avvale di un trattamento corporeo (“Points & Positions”), di tecniche verbali, di esercizi di respirazione e di esercizi oculari. Alla base di questo metodo originale ci sono alcuni assunti: si lavora partendo dalla fase di raccoglimento (instroke) della
persona, in quanto la relazione primaria e imprescindibile è quella con sé stessi e alla base di ciascuno c’è un Endo sè indiscutibilmente sano e integro; si lavora al di sotto del sistema di difesa caratteriale e lo si fa stando su un livello energetico.
In virtù del principio di identità funzionale di Reich (Cavalieri, 2013; si veda anche Carbonari, 2007; Helferich, 2008), il lavoro verbale e quello corporeo (“P. & P.”) si muovono nella medesima direzione, ossia mirano ad attivare il processo di instroke che diventa il principale obiettivo dell’AF: in questa fase, infatti, l’organismo si autorigenera e si verificano processi di auto-organizzazione. Davis riprende il concetto di pulsazione di Reich, che definisce come un movimento ritmico di espansione e contrazione, ma in termini di instroke-outstroke (ii). Solo l’organismo sano passa senza impedimenti da una fase all’altra della pulsazione in modo fluido, partendo dal nucleo e andando integralmente alla periferia. Quando, invece, è presente un’armatura caratteriale, il movimento subisce dei mutamenti, diventando limitato, bloccato, dissipato, modificando la vitalità dell’organismo che va posta in relazione con l’equilibrio della pulsazione (Reich, 2016); così l’AF, lavorando su processi energetici profondi tramite il tessuto connettivo, nella fase di instroke, va ad agevolare il movimento naturale e sano dell’organismo che riprende gradatamente a pulsare in modo pieno. Una delle differenze tra questo metodo ed altre terapie corporee risiede nel fatto che il trattamento corporeo si concentra sulle proprietà del tessuto connettivo (iii) e il ruolo fondamentale che esso ricopre nella costituzione dell’armatura caratteriale (Davis, 2018 b) e, nello specifico, rivolge la sua attenzione alle strutture di personalità precoci che evolutivamente hanno subito una traumatizzazione talmente primaria da avvenire a livello plasmatico (Davis, 1997-8). Questa focalizzazione sul tessuto connettivo ha permesso lo sviluppo della tecnica “Points & Positions”che consiste nel toccare punti e zone del corpo in modo profondo e delicato, raggiungendo il tessuto plasmatico.
Attraverso il tocco è possibile individuare la qualità dei tessuti, e la stratificazione ci racconta la storia evolutiva della persona. L’AF cerca di cogliere la traumatizzazione (Davis, 2018) che si iscrive nel tessuto più profondo dell’organismo. Possiamo anche rilevare la presenza di traumatizzazioni multiple, che talvolta sono stratificate a livello tissutale (Davis, 2018). Il tessuto connettivo è il primo a strutturarsi, è il più antico e quello che viene intaccato più profondamente. Sappiamo anche che la forma di difesa utilizzata dalla persona si manifesta nella qualità del tessuto: infatti, più l’organismo è giovane, meno ha sviluppato una risposta aggressiva adeguata per difendersi e tanto più ha sviluppato una risposta contrattiva iscritta nel tessuto connettivo (Davis, 2018). Toccando una persona con una contrazione plasmatica centrale si percepiscono a livello profondo tessuti fibrosi; più la persona è andata avanti nell’acquisizione di competenze evolutive, più toccheremo tessuto muscolare. (iv) Lo stimolo che viene dalla tecnica del tocco è qualitativamente neutro, il ritmo è costante così come la presenza silenziosa del terapeuta nell’approccio verbale. L’intervento prodotto con il tocco rispetta le difese del paziente: si presta attenzione a che la pressione non superi il limite psico-biologico dato dall’organismo.
La stessa cosa vale per l’intervento verbale, che rispetta il ritmo del paziente. Il terapeuta interviene quando vede che il paziente ha esaurito ciò che voleva dire, quando è giunto a una conclusione, quando energeticamente ha avuto la sua massima escursione in outstroke ed è pronto a rientrare in instroke. In quel momento è utile fare un intervento verbale, così come a livello del tocco si toglie la pressione e si
abbandona il contatto, lasciando che l’organismo passi alla fase di raccoglimento dove ha luogo l’elaborazione delle informazioni. Il tessuto e le espressioni verbali del paziente sono da considerarsi un’identità funzionale: nella misura in cui il tessuto si modifica durante la terapia, un analogo cambiamento si riscontrerà a livello verbale e viceversa. Se possediamo la sensibilità per cogliere i cambiamenti, toccando la persona, possiamo percepire e fare ipotesi sulla sua storia evolutiva: dapprima capire in quale fase della sua vita ha incontrato difficoltà ed è rimasta bloccata, e successivamente individuare in quale direzione si stia muovendo nel percorso terapeutico. La distribuzione dei tessuti e della loro qualità nel corpo ci danno, così, indicazioni su chi è la persona, e la stessa qualità la si riscontra a livello verbale. (v)
Più nella persona è presente una difesa plasmatica, più troveremo a livello verbale difese primarie, funzionalmente equivalenti a una contrazione a livello del tessuto. Se l’armatura è stata costruita a partire dalla disidratazione del tessuto connettivo, coglieremo anche a livello verbale una chiusura, una limitatezza di vedute su sé stessi, sul mondo e sugli altri (vi). Se la corazza è invece di natura più muscolare, l’espressione verbale sarà maggiormente orientata verso il mondo e gli altri, e talvolta il paziente maschererà aspetti del Sé mostrando, per esempio, compiacimento, perfezionismo, idealizzazione. In base alla distribuzione dei tessuti e alla struttura delle difese, si potrà identificare il tipo di carattere, che Davis classifica in “plasmatico” e “muscolare”. I diversi caratteri possono, in generale, essere rappresentati come segue, inserendoli in un ordine dove si va da una contrazione prevalentemente plasmatica (schizoide), e conseguentemente a un livello primario di evoluzione, a una struttura caratteriale più muscolare (rigida).
Nella sua evoluzione l’organismo attraversa in genere alcune fasi. La prima è quella in cui afferma il proprio diritto organismico ad espandersi. Questa fase auto-affermativa dell’organismo è istintiva e intrinseca e, nel suo complesso, comprende il diritto di esistere, il diritto di avere bisogni, il diritto di separarsi, di diventare autonomi, di imporsi e il diritto di amare in senso romantico e sessuale (Lowen, 2004).
Se questi diritti dell’organismo, che rappresentano bisogni, vengono ripetutamente negati, l’espressione originaria della forza vitale viene bloccata (Reich, 1982). Quando la risposta ambientale all’espansione vitale dell’organismo è cronicamente negativa, l’organismo si adegua all’ambiente, negando l’espressione di sé e finendo per abbandonare e sopprimere la propria forza vitale, In questa fase di negazione di
sé, ricorrere a manovre difensive. Queste manovre protettive del Sé, sotto forma di strutture difensive, possono essere molto primitive o maggiormente elaborate, in quanto dipendono da come è organizzato l’Io e dalla fase evolutiva in cui sono iniziati i blocchi (Davis, 1997-8). Dal momento che il carattere consiste nella formazione di una serie di blocchi che si producono quando determinate esperienze non funzionano, l’organismo si trattiene, si controlla, crea un sistema difensivo per proteggere una parte di sé, il proprio progetto evolutivo. (vii) La conseguenza di questa protezione è il mancato aggiornamento dell’intero organismo. Quando si attiva il processo di instroke, il sistema comincia ad aggiornarsi e a definire ciò che era rimasto precedentemente immobilizzato e non attualizzato. Man mano che il processo terapeutico, funzionalmente equivalente alla mobilizzazione dell’instroke, si approfondisce, si modificano anche le tematiche legate alla struttura caratteriale, e contemporaneamente i tessuti corporei che fungono da corazza cominciano ad evolversi e a emergere fino a dissolversi.
Considerando che il movimento di instroke e outstroke si corrispondono (Davis, 2018) (vii) nel momento in cui avverranno cambiamenti nel processo di raccoglimento si vedranno gli stessi effetti all’esterno, nel movimento di espansione, così il terapeuta potrà osservarli sia nel verbale del paziente sia nel suo corpo. Il terapeuta per far ciò deve rimanere centrato e aperto per cogliere e raccogliere queste informazioni (Davis, 2006).
Questo atteggiamento diventa il presupposto fondamentale di ogni tecnica usata perché, così come l’energia vitale è neghentropica (Davis, 2018), cioè si muove verso nuclei di maggiore condensazione, anche la semplice presenza ferma e condensata del terapeuta fornirà una transizione naturale verso uno stato di maggiore chiarezza per il paziente. Questa chiarezza si riscontrerà anche nel lavoro verbale che
in AF, come nella Gestalt, è orientato al processo del momento presente. Il momento presente è il fulcro principale della terapia, e dal un punto di vista funzionale non c’è antitesi tra passato e presente che sono funzionalmente identici, così come lo sono psiche e soma. È una questione di contesto, un approccio funzionale include la storia passata, ma l’idea non è quella di regredire al passato quanto piuttosto di portare il passato nel funzionamento del momento presente (Davis 1989). Esperienze infantili, memorie, sogni vanno sperimentati nel presente, da adulti, quando la consapevolezza e la coscienza sono enfatizzate così da assumerne la responsabilità e agire su di essi (Davis 1991).
In generale ciò che si riscontra a livello verbale è semplicemente l’effetto di ciò che avviene a un livello più profondo e il terapeuta deve prestare attenzione alle modificazioni che osserva. Occorrerà infatti valutare se il paziente stia esprimendo temi legati a bisogni caratteriali non soddisfatti, derivanti dall’armatura caratteriale, oppure un desiderio del “core” proveniente dal nucleo originario del Sé (Davis, 2018), ossia
osservare se ciò che viene espresso dalla persona provenga dalla vecchia struttura o se emergano temi nuovi. Per questa ragione, è importante avere in mente quale sia lo stile caratteriale del paziente, innanzitutto per cogliere come tutte le manifestazioni caratteriali si modificano nel corso della terapia e in secondo luogo, ben più importante, per essere in grado di cogliere, tra tutto ciò che dice, le manifestazioni di quel nucleo che è rimasto integro rispetto alla formazione del carattere. Sarà abilità del terapeuta riuscire ad essere empatico con la struttura caratteriale, senza però entrare nel merito del contenuto, e al contempo ricercare con curiosità tutte quelle caratteristiche della persona che sono manifestazione del suo Sé integro (Davis, 2015). Quindi è necessario rilevare tutte le verbalizzazioni che hanno a che fare con l’armatura, per poi essere in grado di non soffermarsi su quei contenuti e non rimanere intrappolati nella storia del paziente e nella sua narrazione (Davis 1989).
Uno dei principi di base dell’AF è quello di non lavorare a livello superficiale, intendendo come superficie la manifestazione del carattere, ma di lavorare a livello profondo, nucleare, energetico. (Davis, 2018). Pertanto è importante verificare continuamente se sono presenti delle “novità” rispetto ai comportamenti, alle emozioni e ai pensieri del paziente; si tratta di uno dei parametri da tenere bene in mente per
vedere in che direzione si stia muovendo la terapia (Davis, 1991). Per questa ragione l’aspetto più importante del lavoro verbale è l’ascolto: si ascolta il contenuto, ma si fa soprattutto attenzione alla qualità delle verbalizzazioni. Cerchiamo di capire qual è il livello di eccitazione che esprime il paziente a livello energetico attraverso le sue parole, ci chiediamo se sia interessato a ciò che lui stesso dice e se, e in che misura, è in contatto con quello che riferisce. È importante comprendere il livello di vitalità presente nel corpo, il livello di consapevolezza del paziente e se egli è ancorato alle sue sensazioni corporee ed è in grado di associarvi delle emozioni.
È fondamentale anche capire se e come la persona è presente a sé stessa, osservare come parla, se è logica, coerente, se le sue parole sono emotive o distaccate. Le informazioni raccolte a livello energetico sono spesso indicative di come sta il paziente in quel dato momento, di quanto si stai rivelando in modo autentico e di quanto stia invece emergendo dall’armatura caratteriale. Gli elementi biografici emergeranno man mano che diventeranno importanti per il paziente stesso (Davis, 1988); questo avverrà in modo naturale e al momento giusto, oppure, potrà accadere che temi o eventi del passato semplicemente si risolvano o si dissolvano. Questo processo avviene anche a livello dei tessuti e della stessa forma del corpo, che si modifica in base all’evoluzione della persona nel processo terapeutico. Per cogliere l’evoluzione della persona e in che direzione stia andando la terapia, il terapeuta fa un’ipotesi sul suo funzionamento, coglie inizialmente la qualità della sua pulsazione osservandone comportamenti, pensieri, emozioni e valutando le medesime caratteristiche a livello del tessuto del corpo. In generale, più il processo di instroke si approfondisce, più il paziente va verso una maggiore condensazione e si riscontra separazione e nitidezza nei tessuti corposi, e la stessa qualità la si ritrova nei pensieri che diventano più chiari, nelle emozioni che appaiono più definite e più ancorate a sensazioni corporee, nei comportamenti più direzionati.
Man mano che il processo si approfondisce, la persona ha sempre meno bisogno di parole per esprimere la propria esperienza, fino a giungere a una piena soddisfazione di ciò che si esperisce, tale da non avere il bisogno di esprimerla o di non avere parole sufficienti per poterla descrivere. Il silenzio così diviene la manifestazione che ciò che è emerso consapevolmente viene riconosciuto in una forma tacita; il senso di tranquillità diventa lo stato dove tutto ha un senso per la persona senza che venga proferita parola. In questo silenzio, la persona accoglie ciò che non può essere definito a parole, la tranquillità dell’essere, in cui il significato coincide con il significante. (ix)
Potremmo definire questa condizione come stato dell’instroke, contatto con l’Endo-Sé o semplicemente come una profonda aderenza a sé stessi, in cui non sono necessarie spiegazioni e verbalizzazioni (Davis, 2016).
L’instroke, in generale, è un processo di condensazione e ogni tecnica sia corporea che verbale, accompagna l’organismo verso una maggiore semplicità. La focalizzazione è un processo di condensazione, di sintesi in uno o più punti, che può essere realizzato con qualsiasi tecnica verbale: ciò che conta è il modo in cui il paziente riesce a condensare le informazioni. Queste informazioni possono essere di varia natura: emozioni, pensieri, sensazioni. Man mano che si attua la focalizzazione, la chiarezza del paziente aumenta. Uno degli indizi attraverso il quale il terapeuta può riconoscere che si è verificata una condensazione, è che nell’espressione verbale, nel corpo e nei movimenti del paziente si riscontra una maggiore chiarezza. Il contenuto della sua narrazione risulta più facile da seguire e anche la descrizione delle sensazioni che rimandano alle proprie esperienze risulta più chiara. La chiarezza si riscontra anche a livello corporeo: la persona assume contorni netti, una diversa compattezza, è più definita nelle sue parti, il suo corpo non è “segmentato”, c’è una migliore qualità nella muscolatura e nelle proporzioni e in generale appare più armoniosa.
Al polo opposto del continuum della focalizzazione, troviamo uno stato confusionale, che può essere un segnale che si sono attivate le difese e il sistema è in uno stato di sovraccarico. (x) Come nel lavoro corporeo (“P. & P.”), anche a livello verbale occorre stare attenti a non superare le difese, quindi bisogna valutare l’opportunità di rimandare il processo, porre attenzione alla modalità con cui si riformulano le verbalizzazioni del paziente, ai silenzi che si introducono, e lasciare che il paziente esaurisca tutto ciò che voleva dire come in un ciclo di pulsazione (Reich, 1989). L’eccitazione può aumentare anche a causa di troppi interventi verbali che possono confondere la persona. Oltre alla qualità, è dunque importante anche la quantità delle domande e degli interventi verbali. In strutture caratteriali che impiegano la confusione come sistema difensivo (isterica, borderline) nel verbale così come nel setting PFC, è opportuno evitare di inserire troppi stimoli, per cui le verbalizzazioni del terapeuta devono essere semplici (Davis, 2018). In generale, come afferma Davis, “less is more”, quindi gli interventi verbali seguono il principio che il minimo stimolo (Tosi, 2011) è più efficace di molti interventi, ad esempio, soprattutto in un sistema già sovrastimolato e con un’energia che si muove prevalentemente in outstroke, gli interventi saranno brevi, pochi e ponderati. Le tecniche di contenimento e di focalizzazione sono efficaci perché aiutano a condensare l’energia espressa in un tema specifico, in uno stato d’animo o anche in una singola parola significativa per la persona.
Condensare implica una maggiore concentrazione di energia, e da una maggiore concentrazione nasce la materia (Reich, 1994) e se si raggiunge la compattezza si formano confini netti: è per questo motivo che nei caratteri più muscolari dove la pulsazione è prevalentemente orientata verso l’esterno, il processo di focalizzazione è particolarmente utile per ottenere una maggiore chiarezza. Dall’altro lato del continuum, nei caratteri plasmatici, che sono più orientati a una fase di raccoglimento, possono essere maggiormente efficaci gli esercizi verbali-oculari. (xi)
Distinguiamo tra le varie tecniche alcuni tipi di interventi verbali (xii) di focalizzazione e mobilizzazione con cui si è in grado di lavorare energeticamente quanto con gli esercizi di respirazione e i movimenti di espressione volontari (Davis 1991). Passiamo in rassegna alcune tecniche indicate da Davis inserendole nel processo di instroke.
● Pappagallare-parafrasare
Il pappagallare è una tecnica verbale che favorisce l’alleanza terapeutica e lo stesso allineamento in termini di carica energetica tra terapeuta e paziente, in quando, riproducendo lo stesso contenuto, si verifica una sincronia automatica tra i due membri della coppia. (xiii) Se il pappagallare consiste nel ripetere fedelmente ciò che la persona dice, la parafrasi consiste nel riprendere il contenuto proposto senza interpretare, ma condensandolo in poche parole (Skinner, 2021).
È necessario chiarire in che modo la parafrasi influisca sul processo di instroke. Innanzitutto non è un processo che va dal contenuto per poi affrontare tematiche più profonde, ma è piuttosto la comprensione di alcuni aspetti emergenti che non appartengono alla corazza caratteriale, bensì all’Endo-Sé (Davis, 2015). (xiv) Questi aspetti vengono rimandati alla persona (processo bottom-up) in modo che possa prestarci maggiore attenzione.
Il parafrasare può essere molto utile soprattutto con alcuni tipi caratteriali più inclini all’outstroke (per es. istrionico, narcisistico) per contenere verbalizzazioni spesso confuse ed eccessivamente cariche emotivamente. Una buona strategia sembra essere quella di fornire rispecchiamenti brevi e chiari, in modo che la persona possa cogliere il feedback in modo rapido e diretto. Infatti, dato che alcune strutture caratteriali più orientate all’outstroke spesso disperdono energia e quindi hanno una ridotta capacità di contenimento, fornire una verbalizzazione chiara e concisa può produrre una prima condensazione dell’energia. In un tipo di pulsazione caratterizzata da energia dissipata (isterico), il parafrasare potrebbe favorire un processo di condensazione, così pure il denominare, proprio perché il terapeuta, fornendo un focus, si pone in antitesi a un processo dispersivo. Ciò che è fondamentale, però, è l’atteggiamento del terapeuta e la sua capacità di restare in contatto con sé stesso: quanto più il terapeuta è libero dalla propria armatura caratteriale, tanto più può fornire un ascolto puro e soprattutto una presenza tale per cui l’energia dissipata tenderà a condensarsi in modo naturale, anche grazie solo al
silenzio mantenuto in seduta (Bartolo, 2020). Se concordiamo con l’idea che l’intera seduta e la terapia seguano un movimento pulsante, pappagallare e parafrasare possono facilitare il processo di condensazione e di ridefinizione dei confini, fondamentali per avere un migliore contatto tra sé e l’altro.
È evidente che una persona in fase di raccoglimento che ha un buon contatto con sé stessa avrà meno bisogno non solo di avere feedback verbali sotto forma di parafrasi, ma anche di comunicare la propria esperienza su questo piano. Quando è stato raggiunto uno stato profondo di instroke, non sono necessarie troppe parole e il verbale a volte diventa superfluo. Se, invece, la fase di raccoglimento rappresenta più una contrazione, quindi c’è maggiore chiusura nella persona, il parafrasare potrebbe
risultare molto utile.
● Nominare
Un altro processo di definizione dei confini è la denominazione, un atto in cui la persona “chiama per nome” e definisce in modo chiaro aspetti confusi della propria vita, che possono riguardare anche un’emozione o un modo di pensare. Spesso il processo di focalizzazione che avviene sia con il tocco (P e P) che con il lavoro verbale, porta alla denominazione (xv) e la capacità di nominare ha a che fare con una
maggiore definizione dei confini. Possiamo infatti affermare che parafrasare, nominare e mettere a fuoco sono aspetti diversi dello stesso processo di definizione dei confini. Proprio perché la creazione di confini diventa uno dei presupposti per una pulsazione dell’organismo più sana, ogni volta che una persona non dispone di un nome per descrivere ciò che sta dicendo, occorre soffermarsi, almeno finché quell’aspetto non venga in parte chiarito. Il contenimento che dà il nominare permette al paziente di procedere oltre (Reich, 2008). Sappiamo anche che la capacità di nominare nasce quando si innesca il processo di instroke: infatti proprio perché si raggiunge la chiarezza nei confronti di sé stessi (stato di instroke-Endo-Sè) si è in grado di dare un nome alle cose, cioè formulare in modo chiaro determinati contenuti. Nominare un tema con chiarezza può dare la possibilità di procedere oltre nella conoscenza di sé, per cui un processo può diventare il punto di partenza per ulteriori indagini; o può anche accadere che quell’esperienza, una volta strutturata e contenuta in un’organizzazione, semplicemente si esaurisca, come in un ciclo vitale. (xvi)
La terapia, così come ogni singola seduta, procede in avanti, e tale progressione non può avvenire se non vi è una membrana che la racchiude: funzionalmente l’energia si raccoglie in una struttura e solo allora si può procedere oltre (Reich, 1994). A livello verbale questa membrana può essere intesa come la chiusura di un tema a cui viene dato un nome. Dare un nome dà una sensazione di sicurezza, e quanto più le persone si sentono sicure tanto più possono permettersi di andare in profondità, imparando sempre di più a fidarsi di sé stesse. Quando si sentono sicure riescono ad essere maggiormente focalizzate e a nominare ciò che accade loro. Nell’AF si verifica anche il processo inverso: il senso di sicurezza si produce perché, grazie al processo di instroke, viene contattato l’Endo-Sé. La chiarezza interiore ed esteriore ne è quindi una conseguenza naturale (Davis, 2014).
Man mano che si procede nel lavoro si giunge a un livello sempre più profondo, dove il nominare assume una sfumatura diversa, meno concettuale e più legata alle sensazioni corporee prima e alle percezioni del Sé poi. A questo livello, come affermava Reich, il contatto con la vita va oltre le parole (Reich, 1964). A questo punto il nominare diventa impossibile, e anche la verbalizzazione stessa diventa difficile, ma non perché ciò che si sente è confuso, al contrario, perché c’è una tale chiarezza che la verbalizzazione diventa inutile e la persona percepisce chiaramente uno stato di benessere tale che dargli un nome sarebbe riduttivo.
● Lavorare con le frasi
Lavorare con le frasi permette al paziente di muoversi nella direzione di una maggiore chiarificazione e consapevolezza di sé. Questa tecnica consiste nel dare al paziente delle frasi da completare, con l’indicazione di ripetere l’inizio della frase indicata dal terapeuta e di completarla con qualsiasi cosa gli venga spontaneamente in mente, anche se priva di senso compiuto o grammaticalmente scorretta. Questa tecnica può essere utilizzata quando la persona mostra una certa sicurezza si sé perché è probabile che mobiliti sensazioni, pensieri ed esperienze che prima non erano chiare. È un processo bottom-up, che può avvenire a diversi livelli: possono emergere temi legati alla struttura caratteriale o anche temi più profondi, originati dalla persona primaria (Endo-Sé). La particolarità di questo tipo di lavoro è che il movimento parte dal terapeuta per poi lasciare spazio al paziente: libertà e spontaneità sono gli stessi ingredienti in cui si muove l’energia vitale, e per questo motivo può anche essere considerato un modo per porre una diagnosi in termini di presenza o meno di una struttura caratteriale. (xvii) Il fatto stesso di lavorare con le frasi in modo fluido rivela che nel processo terapeutico è in
già in atto un processo di instroke.
Le frasi che vengono proposte al paziente sono scelte sul momento e calibrate sul suo vissuto cosicché lo aiutano a mettere a fuoco ciò che sta vivendo. Questo tipo di lavoro permette di far emergere più chiaramente una nuova consapevolezza, che successivamente potrà essere trasformata e tradotta in azione. Un particolare lavoro verbale avviene con due esercizi-oculari elaborati da Davis nel corso della sua esperienza terapeutica (“vengo fuori-torno dentro”; “vedere-essere visti”) che hanno un potente effetto sulla mobilizzazione dell’instroke. (xviii) L’obiettivo generale di entrambi esercizi è quello di favorire un aumento della consapevolezza nella persona e, nel migliore dei casi, di aiutarla a fare qualcosa di diverso. Tra i due esercizi c’è una differenza: il primo (“vengo fuori e torno dentro”) registra principalmente ciò che accade nell’occhio del paziente e nella sua attenzione mentre nel secondo (“vedere ed essere visto”), la persona riferisce la sua esperienza riguardante specificamente il vedere o l’essere visto. Questi due esercizi trattano due diversi livelli di profondità: mentre il primo potrebbe rimanere solo a un livello meccanico, il secondo conduce a un livello più profondo del Sé.
Il segmento oculare, secondo Reich, rappresenta la prima fase evolutiva dell’individuo e pertanto la modalità di pulsazione stabilitasi nel primo contatto con la madre. Si tratta di una modalità che solitamente rimane fissa per tutta la vita e di conseguenza è rappresentative del carattere (Reich, 1989). La pulsazione, nel segmento oculare (“vengo fuori-torno dentro”), è un fenomeno che riguarda le relazioni
e coinvolge il Sé, per cui durante questo esercizio possiamo concentrarci o sulla meccanica del movimento pulsatorio dell’occhio o sull’esperienza del Sé del paziente (Davis, 2015). Invece “Vedere ed essere visti” è una tecnica di mobilitazione verbale che porta a un profondo riconoscimento e contatto con Sé stessi. “Vedere” ha a che fare prima di tutto con il vedere Sé stessi e, solo successivamente, con l’essere visti dall’altro. Si ha prima una chiara consapevolezza di Sé e successivamente questa forma di chiarezza viene percepita dall’altro, che è in grado di “vederci”. (xix)
Il terapeuta cerca di mettere insieme le informazioni raccolte attraverso gli esercizi del segmento oculare con tutto ciò che conosce della persona. L’idea è che se la persona funziona bene, dovremmo vedere una pulsazione che parte dall’interno – da un senso di profondo contatto con il Sé – e va verso l’esterno, fino a entrare in contatto con l’altro, e poi il medesimo movimento da fuori a dentro. (xx)
Questi particolari esercizi verbali-oculari risultano particolarmente potenti nel mobilizzare il processo di instroke e vanno calibrati all’interno del processo di terapia. Possono anche essere usati per valutare come e in che misura, il paziente stia acquisendo consapevolezza di sé. Si tratta di esercizi complessi che avrebbero bisogno di maggiore spazio per essere spiegati in modo esaustivo, in questa sede abbiamo potuto solo accennarne.
Conclusioni
L’Analisi Funzionale, gettando luce sulla capacità di auto-regolazione e di auto-rigenerazione dell’organismo, promuove la libertà e la piena responsabilità della persona di proseguire quell’evoluzione che, in qualche misura, è stata interrotta dalla costituzione dell’armatura caratteriale. È confortante sapere che ogni persona è in grado di perseguire un processo di liberazione dalla corazza, per giungere a una piena libertà di movimento e di autodeterminazione. Alla base di tutto, e indipendentemente dalle tecniche usate, rimane il processo di approfondimento, di raccoglimento, di benessere che Davis chiama instroke, imprescindibile per avere un pieno contatto con Sé stessi.
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Reich, W. (1981). Esperimenti bionici. Sugarco.
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Reich, W., Belfiore, F., & Wolf, A. (1982). Analisi del carattere. Sugarco.
Rogers, CR (2007). Terapia centrata sul cliente. Edizioni la meridiana.
Skinner, B. (2021). Il comportamento verbale. Armando Editore.
Tosi, M. & Del Giudice E. Il principio del minimo stimolo nella dinamica dell’organismo vivente,18 ottobre 2011, https://www.hadoshiatsu.org/wordpress/wp-content/uploads/2015/06/Del-Giudice-Il-principio-del-minimo-stimolo-nella-dinamica-dell-organismo-vivente.docx
Per approfondire: www.functionalanalysis.org
(i) L’AF si rifà al concetto di pulsazione di Reich, al lavoro di Positional Release di Lawrence Jones, alla teoria relativa ai tessuti connettivi di Ida Rolf, al lavoro sul corpo della Radix di Charles Kelley e al lavoro verbale del gestaltista Fritz Perls e della psicologia umanistica di C. Rogers.
(ii) Davis riprende i termini outstroke-instroke dal suo maestro C. Kelley (1974) che rivisita la formulazione originaria di Reich (2010).Nell’AF, Davis ha mantenuto i termini instroke e outstroke con l’intenzione di indicare la direzione del movimento, senza attribuirvi una qualità specifica.
(iii) Il tessuto connettivo sostiene e collega tutte le unità funzionali del corpo e, nello specifico, avvolge il muscolo ed è presente al suo interno costituendo il sistema miofasciale.
(iv) Più l’organismo è maturo, più è riuscito a sviluppare capacità muscolari e cognitive, e più la difesa si realizza a livello neuromuscolare e periferico; se l’organismo è meno evoluto, disporrà di difese primarie, come avviene negli organismi unicellulari (Reich, 1964).
(v) Ad esempio, nel carattere schizoide, maggiore idratazione del tessuto equivale funzionalmente a una maggiore esperienza di sé.
(vi) Un esempio è il carattere schizoide (Davis 1997-8) che non è solo la struttura più contratta, ma anche rigida psichicamente.
(vii) Ciò che chiamiamo nevrosi è la formazione di un carattere, che inizialmente proteggeva l’Endo-Sè nucleare (Davis, 2018) dall’essere invaso o disintegrato. In un certo senso l’armatura protegge il programma evolutivo della persona e la possibilità dell’organismo di svilupparsi pienamente.
(viii) Tutti i cambiamenti della persona a livello esteriore sono il riflesso naturale di quanto è avvenuto in precedenza nella fase di raccoglimento (Davis, 2018).
(ix) Da una prospettiva ontologica, la parola è un segno linguistico che rivela la verità nella sua trascendentalità: la parola diventa l’oggettivazione dell’inoggettivabile. La presenza dell’infinito nel finito. Così la pensava Pareyson quando affermava che il vero significato del detto è nel non detto; così in un contatto profondo con l’Endo-Sé, la parola esaurisce ogni significato nel silenzio significante.
(x) Il problema di fondo dell’organismo, o di un sistema, diventa l’intensità della carica energetica metabolizzabile. L’organismo la percepisce come minacciosa poiché non è in grado di elaborarla, immagazzinarla o integrarla nel sistema (Davis, 1991).
(xi) Si tenga presente che questi caratteri, avendo subito un trauma plasmatico precoce, sono spesso particolarmente sensibili a questo particolare esercizio verbale, e pertanto è necessario prestare particolare attenzione alla soglia di tollerabilità dell’organismo. Sarà cura del terapeuta dosare l’intervento, rispettando sempre le difese della persona che, in questo caso, servono a proteggere la sua stessa esistenza (Davis, 1997-8).
(xii) Davis (1991) indica alcune tecniche verbali: raccolta di informazioni, messa a fuoco, mobilizzazione, chiarificazione, sviluppo di modelli, integrazione.
(xiii) Il pappagallare non è nient’altro che la semplice ripetizione di ciò che il paziente ha detto, in modo letterale, senza l’aggiunta di alcuna considerazione o interpretazione (Rogers, 2007).
(xiv) Secondo Davis (2015) l’Endo-Sé è un senso iniziale di sé che esiste a priori, indipendentemente da qualsiasi relazione.
(xv)Il processo di focalizzazione porta a una maggiore condensazione che si manifesta nella chiarezza di pensieri, emozioni, e comportamenti che possono essere facilmente nominati.
(xvi) Il fatto di formare unità di concentrazione è ciò che permette l’evoluzione: lo sviluppo dal livello più semplice a quello più complesso.
(xvii) Quando la persona riesce a svolgere questo tipo di lavoro fluido, portando alla luce aspetti nuovi, significa che è già sufficientemente libera da strutture caratteriali. In altre parole, se è in grado di completare le frasi significa che l’energia è sufficiente per poter fluire spontaneamente, aggiungendo ulteriore profondità.
(xviii) La mobilizzazione dell’instroke è l’obiettivo non solo della terapia, ma anche di ogni singola seduta e si manifesta su più livelli, con ogni tecnica verbale finora esaminata.
(xix) Solo vedendo sé stessi è possibile essere visti.. Ancora una volta siamo a un livello di relazione primaria con sé stessi: il vedere rimanda all’essere visti da sé stessi (Davis 2015): questo movimento è il presupposto perché avvenga una relazione interpersonale.
(xx) Questo pattern di movimento rappresenta il massimo della salute e si incontra raramente. Spesso la persona trova un modo per interrompere la pulsazione: può darsi che non riesca a muovere l’occhio completamente verso l’esterno o che non sia in grado di spostare l’attenzione verso l’interno o entrambe le cose o si manifesti tutta una serie di altre compensazioni o complicazioni.